Cos’è il Decadentismo

“Il termine rappresenta ora una categoria che designa, in senso lato una visione del mondo, in senso specifico una poetica storicamente determinata, l’una e l’altra coscienti della <<decadenza>> di un mondo e intenzionate a rappresentarla nelle forme d’arte. Décadents furono detti dai critici tradizionalisti, con palese intento dispregiativo, alcuni poeti e letterati francesi, partecipanti, intorno al 1880, ai circoli bohémiens della parigina <<Rive Gauche>> (gli Hirsutes, gli Hydropathes, gli Zutistes, i Nous autres, ecc. ): poeti e letterati per i quali l’accusa degli avversari divenne motivo di vanto, etichetta di validità programmatica. Al concetto di decadenza si associò l’idea di un aristocratico distacco dal <<gregge dell’uomo comune>>, d’una superiorità culturale dove l’eccellenza artistica coincideva con un’esasperazione della sensibilità, acuita fino ad avvertire e ad assaporare le più remote e inconsuete sfumature delle sensazioni, i fremiti più nascosti legati alla suggestione dello strano, dell’inconscio, dell’ignoto. I princìpi della nuova poetica, erano propugnati su alcune riviste: <<La Nouvelle Rive Gauche>>, che nel marzo 1883 prese il titolo <<Lutèce>>; la <<Revue Indépendante>>; la <<Revue Wagnérienne>>; <<Le Décadent>>, apparsa nel 1886, anno di nascita del simbolismo. Le tappe più notevoli del movimento sono segnate dalla prima edizione dell’Art poétique di Verlaine (1883) e dalla pubblicazione di poesie di Rimbaud, su <<Lutèce>>, nella prima serie di Les Poètes maudits, curata da Verlaine; nel 1884, usciva il romanzo di Huysmans À rebours (A ritroso), il cui protagonista, Des Esseintes, era l’incarnazione dell’ideale di vita e del gusto decadente. Il D. affonda le radici nell’inquieta spiritualità romantica, gravitante su due poli antitetici: un’individualistica volontà di predominio dell’io sulla realtà naturale da un lato e un’ansia di annullamento mistico della personalità dall’altro. Su tale fondamento e sull’esperienza stilistica dei parnassiani matura il D., come concezione della vita e dell’arte commiste nella stessa unità in cui sensazione e rappresentazione, oggetto e simbolo si ritrovano indifferenziati; dominio della nuova sensibilità è il subcosciente (punto d’arrivo del misticismo romantico), zona inesplorata dello spirito, la cui interiorità sconfina nel mistero. Su tale via si chiariscono le più sicure prese di contatto del D. con il romanticismo; meglio che altrove nell’ambito della cultura tedesca, che aveva conosciuto gli slanci mistici della poesia di Novalis. Il sentimento dell’arte come contemplazione che beatifica e trasfigura in Schopenhauer, la <<volontà di potenza>> a cui Nietzsche assegna come meta finale il dissolversi dell’umano nel mito del superuomo; l’impeto wagneriano che trapassa dalla catena del sensibile delle emozioni all’ebbrezza dell’infinito: sono temi caratteristici della sensibilità decadente, e trovano esatte rispondenze nella poesia francese dell’epoca. La concezione wagneriana dell’inscindibile unità delle arti ha un preciso riscontro nell’idea centrale della nuova poesia francese: le correspondances, il reciproco interferire e confondersi di sensazioni eterogenee sul filo di misteriose analogie ed equivalenze. E’ infatti di Baudelaire, il poeta e critico la cui influenza fu decisiva per il nuovo indirizzo poetico, la scoperta delle segrete rispondenze che accomunano le diverse specie di sensazioni. Agiva in lui, soprattutto, l’esempio di Poe: d’una poesia di allucinata evidenza, scandita sul trascorrere mutevole delle impressioni; la raffinatezza espressiva del Parnasse gli serviva come mezzo d’attuazione della più squisita eleganza formale. Il sentimento della poesia come puro canto in Baudelaire si univa col fermo convincimento della connessione, dell’identità, quasi, tra arte e vita, che gli permetteva di immergersi nelle profondità più oscure del male per risalirne con la propria potenza creativa. Da lui i simbolisti ereditarono l’amore per la parola sorgente di magiche evocazioni, capace di crearsi una continuità indefinita di risonanze; e ancora prima, sulle sue orme, i decadenti ristabilirono il contatto tra arte e vita. Spesso questa tendenza a fondere vita e arte portò a un culto dell’arte come forma suprema di vita, come valore assoluto al quale tutti gli altri valori venivano subordinati: tale atteggiamento, che va sotto il termine di estetismo, rappresenta una delle connotazioni più tipiche del decadentismo. Alla morale eroica del superuomo, corrispose, in poetica, l’idea dell’arte come creazione dal nulla: l’instaurazione di nuovi valori era la molla che dava l’impulso alla condotta e al gusto. Si inseguirono orizzonti sconosciuti, rinnegando il passato e la tradizione: il poeta, libero da ogni legame con le consuetudini dell’esistenza quotidiana, poteva avventurarsi oltre i limiti stabiliti per l’uomo comune, ribellarsi a ogni norma, far violenza alla natura stessa; piaceri e tormenti, smarrimenti dei sensi e morbose voluttà, perversioni, squilibri di ogni sorta, divennero prerogative della sensibilità decadente, che cercava il suo appagamento nelle regioni imperie della <<vita maledetta>>, in quei settori indistinti e caotici dove non giunge la luce della coscienza. Un’estrema raffinatezza, indice d’un gusto saturo d’esperienze culturali, caratterizza la scelta degli argomenti: tra i periodi storici, si preferirono le età di barbarie o di avanzata e splendida decadenza; si collocarono i personaggi, esseri satanici o evanescenti creature smarrite e doloranti, in ambienti di estenuata mollezza, nel lusso più prezioso o nel più completo disfacimento. Da Poe e da Rossetti si attinse la sottile voluttà di indugiare in atmosfere lugubri e misteriose, e ispirate a Swinburne erano le diaboliche fantasie d’amore e di morte che tanto attrassero gli autori decadenti. La sensazione, avvertita con una sorta di esasperato misticismo, divenne il nucleo vitale della poesia; e la poesia non fu più concepita alla maniera classica, come armonica costruzione, ma tendeva a dissolvere la parola nella musica, il colore nello sfumato, l’architettura nell’atmosfera; non era un’entità conclusa, ma un indefinito ripetersi di risonanze, un affiorare d’ immagini evocate per forza di suggestione. Una profonda crisi nel concetto stesso di realtà, la sfiducia nelle possibilità della conoscenza razionale e del discorso scientifico di cogliere la realtà, conducono il decadente a sentire il mondo come mistero impenetrabile nella sua essenza, che solo si rivela all’intuizione mistica o alla folgorazione della visione poetica: mediante il simbolismo la poesia presenta in ardui simboli, che resistono a ogni spiegazione puramente concettuale, la realtà profonda che sta sotto i fenomeni e le apparenze. Rivelazione dell’inconscio e aspirazione alla musica sono le note dominanti nella poesia decadente; l’ansia del nuovo, il disdegno per l’antico e per il consueto ne sono i motivi animatori. Su tale fondamento comune si isolano con nitidezza la musicalità dolce e triste di Verlaine, l’efficacia analogica di Mallarmé, l’irruenza e la forza incisiva di Rimbaud. Non solo nella lirica (Laforgue, Samain, Rodenbach, Maeterlinck, Verhaeren, Jammes, Rollinat, Barrès, ecc.) il D. conseguì risultati duraturi, ma anche nel dramma (Maeterlinck) e, più ancora, nel romanzo (Huysmans, Villiers de l’Isle-Adam, Péladan, Lorrain, ecc.)

  • La diffusione del movimento fuori della Francia

Il movimento assunse ben presto portata internazionale. In Italia esso ebbe l’aspetto di un <<raffinamento sensuale>>: carattere peculiare del cenacolo di A. De Bosis, e nota dominante nel gusto e nella poesia di D’Annunzio che, nella figura di Andrea Sperelli, delineò l’equivalente di Des Esseintes del romanzo di Huysmans e nell’atteggiamento spirituale come nelle esperienze tecniche recò visibilissime le impronte di quell’estetismo che egli contribuì a diffondere sul piano stesso del costume e del comportamento sociale. Ma in D’Annunzio l’estetismo non fu solo il segno di un estremo raffinamento sensuale; esso rappresentò anche l’esaltazione, e l’imitazione nella parola, dell’esistenza come puro ritmo vitale, come musica di sensazioni ora intime e segrete, ora violente e fragorose. Nell’opera di Pascoli sono profondi i segni del D.: nella poetica del <<fanciullino>>, nella visione del mondo come mistero, nel gusto per le età di crisi e di decadenza, nel diffuso simbolismo della sua poesia. Il senso di un mondo di ideali e di forme che finisce e di una immedicabile stanchezza spirituale, espresso talora nelle forme aristocratiche e disincantate dell’ironia e della parodia, si ritrova nei poeti crepuscolari, quali Gozzano e Corazzini. Gli aspetti più strettamente tecnici della poetica decadente, l’uso di metafore inedite e di arditi accostamenti analogici, il ricorso al simbolo come strumento di conoscenza e rivelazione fantastica caratterizzano la poesia più valida fra le due guerre, quella dei cosidetti ermetici. Il D. influisce, insomma, su tutta la letteratura italiana dagli ultimi anni dell’800 sino alla seconda guerra mondiale, non limitando la sua efficacia al campo della poesia in senso stretto, ma estendendola al campo della narrativa (si pensi al romanzo di Fogazzaro), del teatro (il teatro pirandelliano) e a ogni altra forma di espressione letteraria. Derivazione diretta dal D. francese ebbe il movimento letterario che informò la cultura ispanico-americana alla fine del secolo scorso: il modernismo, promosso da Rubén Darìo, la cui poesia ebbe risonanza enorme anche nella letteratura castigliana. In Inghilterra, dove il D. si sviluppò sul terreno, particolarmente favorevole, della tradizione poetica da Keats e Poe a Swinburne e a Rossetti, la personalità che meglio assommò, nelle complicazioni intellettuali e nella cruda sensualità del temperamento e dei modi d’espressione, i motivi tipici della sensibilità decadente fu O. Wilde. In Germania, dopo Wagner e Nietzsche la cui influenza fu decisiva per il sorgere e il costituirsi della problematica decadente, le propaggini del D. si estendono da George a Rilke, a Hofmannsthal, a Schnitzler, per costituire la base morale delle sapienti analisi che Th. Mann ha esercitato sulla conformazione spirituale della società moderna. In Danimarca le principali individualità poetiche formatesi in clima decadente sono Jacobsen e H. Bang; in Svezia e in Norvegia, rispettivamente Strindberg e H. Kinck; in Polonia, Przybyszewski. In Russia, dall’allucinata morbosità di Sologub alla raffinatezza un po’ composita di Merežkovskij e al preziosismo di Remizov, l’influsso della poesia francese si impose sulle correnti tradizionali fino alla vittoriosa affermazione del D. e del simbolismo per opera dei poeti Bal’mont, Brjusov, Ivanov, Blok.”

[Di Angelo Jacomuzzi e Bice Mortara Garavelli]

Sugli autori dell’articolo:

Angelo Jacomuzzi (Novi Ligure, 30 giugno 1929-Torino, 3 novembre 1995) ha insegnato per anni Storia della Critica Letteraria all’Università di Torino. I suoi saggi, non raccolti in volume (su Petrarca, Leopardi, Foscolo, la poesia del tardo romanticismo, Erba, Luzi ecc.), abbracciano varî periodi ed autori della nostra letteratura. In volume, ha pubblicato i fondamentali studi su Dante: L’imago al cerchio. Invenzione e visione nella Divina Commedia (Milano, Silva, 1968) e Il palinsesto della retorica e altri studi danteschi (Firenze, Olschki, 1972), nonché il non meno fondamentale studio su Montale: La poesia di Montale (Torino, Einaudi, 1968; nuova edizione: La poesia di Montale. Dagli «Ossi» ai «Diari», ibidem, 1978). All’opera poetica dannunziana ha dedicato, poi, la monografia: Una poetica strumentale: G. d’Annunzio (ibidem, 1974). Ha pubblicato anche due plaquette di poesia: Critica in versi, Bergamo, Il Bagatto, 1980, e La grotta d’Elia, Torino, L’arzanà, 1980.

Bice Mortara Garavelli (Montemagno, 18 maggio 1931) è una linguista italiana, studiosa di grammatica e retorica. Si diplomò nel 1950 al Liceo Classico “Plana” di Alessandria, per poi laurearsi in Lettere classiche nel 1954, all’Università di Torino, dove fu allieva del glottologo Benvenuto Terracini. Dopo alcuni anni passati insegnando in varie scuole medie e Licei, passò nel 1972 all’Università di Torino, dove divenne docente ordinario di Grammatica italiana. Già socia corrispondente dal 1991, dal 1995 è accademica ordinaria della prestigiosa Accademia della Crusca ed è membro dell’Accademia delle Scienze di Torino. Per la Casa editrice Einaudi ha collaborato al Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica (Torino, 1994), diretto da Gian Luigi Beccaria. Si è occupata di linguistica testuale, di linguaggi settoriali, di stilistica linguistica e letteraria e di retorica, attraverso una lunga serie di apprezzate pubblicazioni. Nel 2002 le è stato dedicato il libro La parola al testo. Scritti per Bice Mortara Garavelli, a cura di Gian Luigi Beccaria e Carla Marello (Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2002).

I Romani della decadenza di T. Couture, 1847